Musica: Syria al contrario? Nasce Airys

Valentina Gambino, appassionata di musica di tendenza, ci riporta una recensione musicale sull'ultima fatica di Syria, che per l'occasione inaugura un nuovo progetto 'al contrario', sotto il nome Airys: Vivo. Amo. Esco.
Buona musica a tutti!

Arriva l'estate, sole, mare e novità! Ecco perche', un nome al contrario puo' tornare sulla "cresta dell'onda".
Stiamo parlando di Syria (all'anagrafe Cecilia Cipressi) oggi nota con il nuovo nome d'arte: Airys.
Il 5 giugno e' uscito "Vivo. Amo. Esco" un EP composto da 6 tracce di stampo decisamente electropop, anticipato dai singoli "Esco" e "Vedo in te", entrambi "farciti" da video belli da vedere con una favolosa impronta fashion. Musica da club, ballabile, spensierata e ben fatta. Al suo interno anche un omaggio a Miss Rettore, ricantando "Io ho te". Un EP realizzato con la collaborazione di due produttori d'eccellenza che hanno curato in ogni aspetto l'intero pacchetto, Sergio Maggioni e Giulio Calvino due pezzi da novanta della musica indipendente italiana.
Un album da ballare, in giro per locali notturni di Milano e non... ("... respiriamo Milano").


L'evoluzione di Syria ci aveva già da qualche anno colpito piacevolmente.
Cantante di nicchia, coraggiosa e indipendente. Dallo stampo indie del precendente album ("Un'altra me" - 2008) si cambia portando in scena musica elettronica colorata e alla moda in stile Kylie Minogue.

Per il panorama musicale italiano è davvero un'assoluta novità, un salto nel vuoto che ti fa atterrare direttamente all'interno della movida estiva muovendo il corpo a ritmo di musica.
Perfetta musica estiva, in spiaggia di giorno, in discoteca la notte, e sparata in cuffia nell'iPod durante l'intera giornata.
Cecilia Cipressi: promossa a pieni voti e... buona nightlife!

A seguire, una traccia audio tratta da Vivo. Amo. Esco.


NIZZA E IL “GAME OVER” DI OGNI CONFESSIONE - Dal dialogo alla chiusura on the dancefloor: 2006-2008 -

Apriamo la nostra rassegna dedicata alle recensioni, con un vero pezzo forte: Romina Mazzara ci delizia con un meraviglioso pezzo intimista dedicato all'ultimo Tour di Madonna, lo Sticky and Sweet Tour, con un parallelo alla precedente Tourneé internazionale della Regina del Pop, Confessions.



Ci sono prove per le quali è necessario avere il sostegno di qualcuno, di una mano esterna che guidi, ammonisca, in certi casi mostri la strada da percorrere, aiuti a deviare dai percorsi troppo accidentati. Prove che si possono e si riescono ad affrontare al meglio solo grazie al beneficio di una complicità incondizionata, e vittorie che non trovano senso che nella condivisione con gli altri.
E ci sono invece altre prove, e sono le più numerose e le più sofferte, le più dure e quelle inevitabili, che occorre affrontare da soli. Prove per le quali la solitudine, più che un bisogno, è un imperativo categorico.
Non è che “E’ meglio fare da sé”. Più crudamente “Si può solo fare da sé”.
Come durante un salto nel vuoto. O un lutto. O un esame all’università.
Sono quei momenti nella vita, rari e per questo infinitamente preziosi, in cui più che verso l’esterno, si deve tendere verso l’interno di noi stessi. Più che una retta, si attraversa una spirale.
Quei momenti in cui la prova, l’esperienza, diventa la possibilità di un viaggio interiore, di una discesa agli inferi di noi stessi, perché nessun viaggio interiore avviene senza sofferenza e nessuna scoperta sfugge ad una morte simbolica, alla perdita dell’innocenza, alla disgregazione di una parte di noi.
Ogni crescita interiore, comporta una morte spirituale. Ogni viaggio verso l’Inconscio comporta l’accettazione della perdita di tutto quello che ci ha sorretti e in cui abbiamo creduto ciecamente. Ogni rinascita ha come scotto da pagare la morte dei nostri preconcetti, delle nostre credenze e dei nostri ideali.

Questo, per me, è stato Nizza. E, più nello specifico, questo per me è stato il più dolce e appiccicoso dei concerti.
Andare al concerto della mancanza, per me, è stato come attraversare simbolicamente il mio inconscio. Misurarmi con una forza che non immaginavo di avere, con una capacità di abbandono che non sospettavo, con una serie di pregiudizi di cui non andavo fiera.
E’ stato come trovarmi da sola davanti ad un muro, e non poter fare altro che saltarlo. Nessuna via d’uscita, nessuna complicità esterna, nessuna solidarietà, perché semplicemente nessuna solidarietà altrui è accettabile, in un viaggio interiore.
Si è soli quando si nasce, quando si muore, e nelle prove della vita. In quelle che, per noi, sono le prove della vita più importanti, e va da sé che quella che per uno è una prova importante, per un altro può essere una cavolata da superare con un sorriso. Tutta questione di rimandi, di storia personale e di associazioni.

Più intimista del Confessions, meno meravigliosamente spettacolare, meno apparentemente pervaso da un’inquietudine che prende a calci sul cuore, il concerto “dolce e appiccicoso” è stato, per me, come la parola “FINE” posta a suon di danza sul ricordo di un’esperienza che, definitivamente conclusa, rimane più viva che mai.
La morte simbolica del Tour Confessioni si è giocata tutta, per me, nella ridancianità priva di sottintesi di una festa gitana, con una volta di cielo stellato sopra e un mare invisibile poco più avanti , nel girotondo colorato di un abbraccio di luci, nell’inquietudine sottile del “GAME OVER” finale, alter ego più che palese dell’ “Have you Confessed?” di due anni fa.

Vi siete confessati? Chiedeva Madonna nel 2006, auspicando il trionfo di una enorme seduta psicanalitica a suon di dance, solo apparentemente priva di pensieri.
“GAME OVER – FINE DEL GIOCO”. Ci dice la Madonna di oggi, una creatura ancora più diafana della Lady provocatrice delle Confessioni, meno corposa, più aggraziata, in qualche modo più lievemente reale.
Il gioco è finito, il dado è tratto, il sipario si cala. Su quest’esperienza, ma per me, soprattutto, sull’esperienza alla quale questo tour ha messo la parola fine, chiudendola con grazia nel cassetto dei ricordi. Quello dentro il quale le cose che abbiamo amato rimangono, e sono comunque vive.
Fine del gioco, significa GAME OVER, ma indica anche, e non è un caso, una situazione priva di speranza. Qualcosa per cui non si intravede una soluzione.

Ed è qua che io, personalmente, ho intravisto finalmente il punto in comune, il filo conduttore, la mano tesa verso il tour precedente. Il Confessions finiva con una domanda, con un’apertura, perché qualunque domanda può essere l’inizio di un dialogo, di una comunicazione. Lo Sticky and Sweet finisce, invece, con un’affermazione, che più lapidaria non si può immaginare.
GAME OVER. Partita chiusa. Gioco terminato.
La speranza, l’ansia, lo sforzo dell’attesa di una salvezza (del mondo, ma anche di noi?) continuamente rimarcata, durante l’intero spettacolo, dal ticchettio degli orologi, l’incalzare del tempo che diventa ossessione, terminano bruscamente con un’affermazione che più tragicamente pessimista non si può immaginare. GAME OVER. Fine dei giochi.
Fine della possibilità di salvare il mondo, ed ognuno di noi.
Almeno fino alla prossima domanda. E alla prossima confessione “on the dancefloor”.

La dolcezza, in questo senso, è più appiccicosa che mai.